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Il futuro della caccia in Sardegna

I dialoghi e gli scambi di diverse opinioni o idee sono sempre bene accetti perché fonte di crescita e di miglioramento.Come ho già detto, sono un giovane cacciatore, che non può vantare i ricordi o l’
esperienza di caccia maturata da molti di voi. Ho sempre amato la natura, la campagna e la caccia, ma ho sempre cercato quella natura che si descriveva in certi racconti di caccia di
30, 40 o 100 anni fa. Ma dai sogni prima o poi ci si deve svegliare, perché si vive nella realtà.
Allora mi chiedo: perché non migliorare la nostra? “E chi non lo vorrebbe!” penserete! Facile a dirsi, ma estremamente difficile a farsi.
Gli svariati commenti che ho letto nell’altro post mi hanno fatto riflettere e anche a voi chiedo di farlo…Per quanto concerne gli ambiti territoriali di caccia volevo fare alcune considerazioni su due o tre cose. La Sardegna è unica e vive una realtà da tutelare e salvaguardare. “Come ?” direte voi. A mio modo di vedere non certo con gli ambiti, in quanto, il trasformare la caccia in un impresa sarebbe intraprendere la strada sbagliata, dal quale non vi sarebbe ritorno.

Se ci pensate bene, perché nascono gli ambiti? Oltre al fatto di distribuire i cacciatori secondo il territorio cacciabile, inizialmente sono stati bene accetti perché con i ripopolamenti di selvaggina allevata, gli‘incontri con i selvatici non sono rari, e il cacciatore… caccia! Infatti nascono dall’ottica che quando un cacciatore vive un momento di caccia, nel momento in cui si accinge a sparare una pernice, poco gliene importa se quella è allevata o selvatica; idem per la lepre e via dicendo, ma per un appassionato di Natura o per un “ Cacciatore” con una diversa “etica venatoria” conta, eccome se conta!!! Per un vero cacciatore il rispetto della natura e dell’ambiente conta per il benessere della selvaggina. Uscire in campagna senza vedere un coniglio (ahimè essendo vissuto in questo contesto storico non è raro) ma solo mosche, zanzare e qualche farfalla..è imbarazzante!
Ribadisco il concetto che non voglio credere che il futuro della caccia sia un domani, andare a sparare pernici con l’anello o cinghiali con il contrassegno giallo sull’orecchio. Io non
voglio una caccia gestita come un’ impresa. Gli ambiti sono stati la rovina di molte specie a causa dei conseguenti inquinamenti genetici (vedi lepre italica, o anche il cinghiale sardo, nei luoghi dov’è stato introdotto il maremmano). Per chi afferma che ci sono cacciatori maleducati è vero.
Ma non si deve fare di tutta l’erba un fascio. Gran parte del Campidano è stato stravolto in quanto l’agricoltura e l’allevamento è stato come dire “esplosivo”. D’altro canto è vero anche che se il Nord e il Centro Sardegna hanno conservato parte della loro integrità ambientale e faunistica non è stato solo grazie ad una buona gestione del territorio, ma ciò è dovuto se mi concedete il termine ad una “causa fortuita” ossia ad un diverso aspetto morfologico del territorio. Se il Nord e Centro Sardegna avessero avuto la stessa conformazione del Campidano, chi vi dice che non sarebbero andati incontro alle stesse sorti?
Il bracconaggio deriva da una versione distorta della caccia, un cacciatore che lo esercita non riesce a distinguerlo dall’hobby, ma ne fa un vero e proprio stile di vita, talmente forte da andare ad infrangere la legge. La caccia per la maggior parte di noi, a meno non sia un armiere, è un hobby, non ci da’ da mangiare. Uno non va a caccia come si dice per “la busta”, ma per “passione” .
Il cacciatore non deve essere equiparato al bracconiere. Perché di bracconieri ce ne sono tanti e non solo cacciatori. E chi lo fa secondo voi? In primis quelli che la campagna la vivono notte e giorno! Le campagne del campidano sono state colonizzate (dopo esser finiti i tempi della transumanza) da molti abitanti del Nord e Centro Sardegna. Questi comprando e insediandosi nei terreni comunali li hanno puliti, bonificati, hanno creato i loro ovili. Ma la selvaggina la cacciavano notte e giorno. Non sono rari i racconti di questo tipo. Quindi l’idea dell’ambito nata dall’esigenza
di una protezione del territorio dalle invasioni “cagliaritane” è ipocrita e senza senso.
Dico allora che così come alcune persone sono state accolte giù a lavorare le terre, distruggendo quella realtà ambientale e faunistica preesistente, per motivi legati all’agricoltura e all’allevamento (quindi si tratta di Lavoro. Sono anche motivi nobili, perché dietro ciò c’è stato tanto lavoro e fatica!) così possa essere concesso a tutti di spostarsi liberamente: è impensabile l’idea
che si possa vietare a qualcuno il poter andare a caccia nei territori, ancora intatti, dove quelle realtà esistono ancora. Questi sono discorsi inutili e senza senso, che vanno contro i nostri principi e la nostra passione! Devono finire in virtù del nostro bene comune : la caccia!
Per quanto riguarda gli stati europei ritengo che il rispetto dei diritti dei vari stati e dei vari popoli è SACROSANTO. Ma dove ci ha portato finora questa mentalità che ci porta ad urlare i nostri diritti in virtù di questo? Da nessuna parte! Muri su muri fatte da leggi, direttive norme e via dicendo. Per quanto si può andare avanti cosi? Graffiando per qualche deroga? Chi come categoria deve tutelare i nostri diritti ? Le associazioni venatorie! Bene, anche loro non devono star lì a lottare, al fine di accaparrarsi più tesserati, ma devono , a mio modo di vedere, muoversi secondo quell’ottica di caccia che definisco “ecosostenibile”. Gli articoli che ho pubblicato avevano lo
scopo di far sentire ai nostri detrattori la nostra voce: l’esistenza reale di un senso etico e culturale della caccia. Appurato ciò non dobbiamo più chinare la testa nei confronti di quelle associazioni che ci definiscono “assassini” , ma ci dobbiamo difendere, facendo vedere alla società tutte quelle cose che si sono perdute nel tempo. Le leggi che ci rappresentano sono inadeguate, superate. Vanno contro i bisogni della fauna e la Natura.
Il cacciatore in campagna serve per tutelare l’ambiente, e non per distruggerlo. La campagna gestita da una figura come il cacciatore, non è un territorio lasciato a se stesso, a differenza di innumerevoli oasi, ma diventa un territorio protetto. (Pensate all’incidenza che può avere ciò sugli incendi boschivi!) La caccia legata ai termini “ecologica e sostenibile” nasce in seno al cambiamento socio-culturale che stiamo vivendo. Oggi sta andando di moda il termine “Bio”. Tutto diventerà “Bio”. L’impatto dell’uomo sulla Natura verrà modificato, e dove si può, verrà eliminato. Per esempio,
ultimamente, in Sardegna (Porto Torres), sta prendendo avvio una società che si occupa di Chimica Verde: Matrìca. Questa società (in parte dell’Eni) si occupa della produzione di bio-plastica (detto in poche parole: plastica biodegradabile) a partire dalla sintesi di monomeri da oli vegetali.
Prima esse derivavano da sintesi di molecole derivanti da prodotti petroliferi, ora da molecole ottenute dall’acido oleico presente in certe colture ( cardi e girasole). Questo piccolo esempio è uno dei tanti. Questo è il futuro non troppo lontano.Mi chiedo ora.. la caccia ha un futuro in questo panorama ecologico?
Secondo me si!
Utilizzando, la scienza, la ricerca e la tecnologia.
Dobbiamo urlare per salvaguardare i nostri diritti. Ma dobbiamo ricreare, tramite una giusta politica, la condizione ideale in cui questi ci possano essere riconosciuti. Sono finiti i tempi dell’
animalismo sfrenato e INSENSATO. Noi viviamo una realtà faunistica unica da tutelare e non di certo tramite vincoli dettati da oasi, zone militari, zone di ripopolamenti e cattura, parchi, riserve Naturale, Sic etc etc. Molti di essi solamente degli specchietti per le allodole,
fatte non per il benessere della natura, ma per il portafoglio di qualcuno. Per il benessere della Natura e del regno animale l’uomo deve continuare a svolgere il suo ruolo di “predatore” o detto in parole moderne “sele-controllore” L’uomo ” Vive la Natura” e non può esserne un semplice ” Spettatore”. La protezione dell’ambiente, la protezione della biodiversità, la bonifica di certi siti abbandonati dalla vecchi industria, il risanamento dell’acqua e del suolo stanno diventando gli argomenti di quest’attualità e in quest’ottica la caccia troverà la sua posizione e la sua ricrescita dopo anni e anni di derisione. Riqualifichiamo la campagna! Bisogna partire dalle piccole cose, gradualmente se ne possono fare delle grandi. Si ha bisogno di Una politica che incentivi la formazione dei confini che separano i campi, non con reticella o Eucaliptus, ma con macchia mediterranea (lentischio, mirto, rovo o fico d’india..com’era una volta), potrebbe essere un inizio (pensate quanto potrebbe giovare ciò alla biodiversità).
Ma se non iniziamo mai, rimarremo fermi a piangere sempre per un Febbraio che non arriverà mai!
La scienza sta alla base del progresso, anche per quanto concerne la caccia!
Chi da buon ANIMALISTA non chiederebbe lo studio (non saltuario, ogni 5-10 anni), approfondito e dettagliato delle diverse specie? Se certe campagne pubblicitarie fossero svolte non per prelevare i 2 euro per delle oasi, ma venissero impiegate negli studi scientifici, quanto ne gioverebbe la
biodiversità? Se venissero fatti degli STUDI SERI, e fossero investi dei fondi nella ricerca, pensate veramente che non si troverebbe una cura ad esempio per la Mixomatosi? Se si parte da queste “piccole” cose la politica, per mezzo delle nostre associazioni venatorie che ci rappresentano, cambierebbe. La caccia non solo rimarrebbe caccia , anzi si evolverebbe in positivo. Se si va in questa direzione, finiranno i tempi in cui si piangerà a gennaio non vedendo Febbraio nel libretto
regionale. Fucili in spalla, ma studi tecnici-scientifici alla mano.” Mario Atzeni ***Così riceviamo e così pubblichiamo***

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