Capocaccia a 32 anni – Ars Venandi
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Capocaccia a 32 anni

Andrea Piras mostra l'enorme battuta sui monti del Grighine

“Il capocaccia doveva essere non solo tra i migliori tiratori, ma il conoscitore perfetto della contrada, delle abitudini della selvaggina, e delle tracce. E doveva, al di sopra di ogni altro, possedere uno stile di vita che imponesse rispetto a tutti. Solo così, poteva esercitare la sua autorità. L’ultima parola era la sua, e aveva valore di legge.”

Con queste parole Emilio Lussu descriveva la figura del capocaccia nella realtà sarda dei primi decenni del secolo. Da allora le cose sono rimaste pressoché invariate. Oggi il capocaccia è un ruolo ricoperto da persone autoritarie, serie, abili nella ricerca delle tracce e profondi conoscitori dei territori di caccia. Stare al vertice della piramide gerarchica di una compagnia di caccia grossa comporta un impegno che va ben oltre la domenica, sulle spalle del capocaccia ricade la responsabilità del buon esito della caccia e ciò impone una presenza costante in campagna al fine di censire e monitorare gli spostamenti degli animali. Se un tempo la scarsa presenza di cinghiali esponeva a forti rischi di critica nel caso di mancati incontri di cinghiali durante la battuta, oggi le cose sono semplificate da una buona diffusione del cinghiale ma ciò non esonera il capocaccia da attività di ricerca infrasettimanali. Il percorso che porta al comando di una compagnia di caccia grossa è spesso conquistato sul campo, merito di un comportamento propositivo e responsabile. L’età media dei capocaccia sardi è attorno ai 60 anni. Ma esiste un’eccezione: Andrea Piras, classe 1977.

Da quanti anni ricopri il ruolo di capocaccia?

Ricopro con grande onore questo importante ruolo da due anni.

Quale è stato il percorso che ti ha portato a questo incarico?

A Ruinas il paese in cui abito ci sono due squadre di caccia grossa, di cui una, la prima e più importante, fondata nel 1960 è capitanata da Luigino Satta, conosciuto e stimato in tutta la zona. Io ho iniziato a praticare questo sport all’età di quindici anni, quando mio padre, che faceva parte della squadra “Manna“, mi portava con sé per svolgere il ruolo di battitore. In quel periodo, non avendo ancora l’età per poter prendere il porto d’armi, dedicavo il mio tempo ad un’altra grande passione, l’addestramento di una muta di segugi italiani fulvi a pelo raso.
A diciotto anni, dopo aver preso il porto d’armi, con grande impegno e sacrificio mi allenavo a sparare e a studiare i comportamenti e le abitudini dei selvatici e degli ausiliari.
Grazie alla mia dedizione e determinazione, a soli vent’anni sono riuscito a conquistare la fiducia del capocaccia e degli altri componenti della squadra, che più volte mi hanno premiato assegnandomi una posizione privilegiata durante la battuta.
Nel 2000, assieme a un gruppo di amici, abbiamo fondato l’Associazione “Pro segugio” – Provincia di Oristano, Sezione di Samugheo, iniziativa che ha contribuito a consolidare ancor di più la consapevolezza dell’importanza degli ausiliari in ogni disciplina di caccia.
In quegli stessi anni sono entrato a far parte del direttivo dell’Autogestita “S’Abba Antiga” di Ruinas, riuscendo dopo un certo periodo ad ottenere la carica di presidente.
Probabilmente grazie a questo mio percorso, due anni fa il vecchio capocaccia in accordo con gli altri componenti della squadra, ha deciso di nominarmi capocaccia. Nella nostra squadra siamo una trentina, fra poste e battitori. Cacciamo quasi esclusivamente nel territorio di Ruinas, un territorio bellissimo.

Nella tua squadra ci sono dei componenti più anziani e conseguentemente con più esperienza di te. Ti consulti con loro?

Il capocaccia, all’interno di una squadra, deve assolvere l’importante ruolo di mediatore fra le persone più anziane, esperti e sicuri nel campo, e i più giovani, che hanno tanta voglia di dimostrare la propria bravura e farsi notare nelle azioni di caccia. Sicuramente è fondamentale riuscire a sfruttare l’esperienza maturata dai più anziani nelle azioni di caccia, e la loro profonda conoscenza del territorio e delle abitudini degli animali. Rappresentano pertanto un imprescindibile punto di riferimento per le decisioni relative allo svolgimento della battuta.

Il capocaccia è un ruolo fondamentale nella caccia grossa sia per la buona riuscita della caccia e sia per quanto riguarda gli equilibri interni del gruppo. Raccontaci la tua esperienza.

È facile immaginare che, quando mi venne chiesto di diventare capocaccia, il mio primo sentimento fu un’immensa felicità, il coronamento di tanti sacrifici. A questo sentimento si è però naturalmente accompagnato il peso della grande responsabilità che permea tale figura. Quello del capocaccia è infatti un compito molto importante: deve assegnare ad ogni cacciatore una posta a seconda del modo in cui spara, e deve soprattutto riuscire di tenere unita e amalgamare tutta la compagnia. Il capocaccia è un po’ lo psicologo del gruppo. Deve riuscire inoltre a coordinare lo svolgersi delle azioni in condizioni di sicurezza, usando giubbottini ad alta visibilità. Il capocaccia deve infine trovare un essenziale equilibrio tra la squadra, gli abitanti del luogo e le squadre confinanti.
La tracciatura della battuta è di fondamentale importanza nella caccia; io essendo un po’ inesperto lo facevo giorni prima.

La tua squadra, come tante altre in Sardegna, frequenta sia zone libere sia riserva autogestita comunale. quali sono i rapporti con le altre squadre confinanti? Avete trovato un equilibrio?

Inizialmente, essendo l’Autogestita territorio fondamentale per la caccia nel mio paese, ci alternavamo con l’altra squadra presente a Ruinas. Già da qualche tempo, cambiando un po’ il vecchio sistema e abitudini ormai consolidate, con l’accordo di tutti e con tanto impegno, siamo riusciti nell’ambiziosa idea di unire le due squadre di caccia nella gestione della Autogestita.

Come gestite gli ungulati nella vostra riserva autogestita?

La caccia agli ungulati è per i sardi una tradizione che affonda le sue radici in un lontano passato e che ancora oggi viene mantenuta in vita con passione e serietà. La caccia grossa è caccia gregaria in forma di battuta, il che si traduce nella condivisione di un obiettivo, nella ripartizione delle mansioni, nel rispetto dei ruoli, nella reciproca fiducia, nel generale affiatamento. Qualcuno potrà chiedersi, assistendo ad un raduno mattutino di cinghialai, come possano tutti questi individui vestiti di verde trovare un accordo e muoversi in sintonia e in sicurezza su un terreno di caccia dove il cinghiale è indubbiamente più avvantaggiato. Il segreto sta nel far rispettare i ruoli di ogni componente della squadra, secondo l’abile regia del capocaccia. Per noi il cinghiale rappresenta quasi una ragione di vita alla quale dedichiamo gran parte del nostro tempo libero. Ne studiamo il comportamento, la psiche e i territorio. Prepariamo le battute, e la tradizione della caccia grossa risale fin dall’antichità. Una parte fondamentale della caccia grossa sicuramente sono i cani. Gli uomini del paese hanno l’abitudine di riunirsi in compagnie che si perpetuano di generazione in generazione.

Avete preso dei provvedimenti contro il bracconaggio e contro gli incendi?

Si, cercando di fare una pressante opera di sensibilizzazione contro questi due tremendi fenomeni, promuovendo a salvaguardia e la valorizzazione del territorio e degli animali che lo abitano, coinvolgendo gli stessi cacciatori, ma anche agricoltori, allevatori e più in generale tutti coloro che a vario titolo frequentano le campagne.

Il pensiero di Andrea Piras emerso da quest’intervista è doppiamente importante: la caccia è rappresentata come un connubio di tanti piccoli tasselli, tutti necessari perché il puzzle possa essere davvero completo; l’unione tra i componenti della squadra, la sicurezza, l’importanza degli ausiliari, la tutela dell’ambiente ed il massimo rispetto per le prede. Quello che però rende queste parole davvero speciali, è il fatto che provengano da un capocaccia così giovane: davvero un bell’augurio per il futuro di tutti noi che abbiamo in comune questa grande passione.

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