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Il riporto

Bernardino Deiana

Molti cuccioli tendono ad inseguire e ghermire qualsiasi cosa si muova o venga lanciato loro (che sia uno straccetto, una pallina o altro) ma raramente, una volta addentato, lo cedono volentieri a qualcuno e, se si tenta di sottrar loro ciò che hanno conquistato, fuggono alla ricerca di un posto tranquillo dove godersi il meritato trofeo oppure invitano al gioco non cedendo comunque spontaneamente la “preda”! Questa possessività ha radici ataviche nel loro “passato di predatori” ove l’istinto alla difesa del pasto (procuratosi con tanta fatica) da altri rivali, giocava un ruolo importante per la sopravvivenza dell’individuo.
L’esercizio del riporto sfrutta l’istinto ad inseguire la preda, afferrarla e portarla in un posto sicuro dove poterla consumare, ma viene meno tale consumazione: infatti il cane, oggigiorno non ha più bisogno di cacciare per sfamarsi, poichè alla soddisfazione di questo bisogno primario provvede l’uomo, e il riporto prevede che proprio a quest’ultimo venga consegnato l’oggetto (o il selvatico nel nostro caso).

Alcuni riportelli

Ma il cucciolo questo non lo sa, o meglio il suo istinto non prevede la rinuncia della preda, a favore dell’uomo: siamo noi che dobbiamo convincerlo che questa è la soluzione più conveniente, offrendo qualcosa di allettante al cane, in cambio del suo servizio di riporto.
Il riporto è quindi un esercizio, un qualcosa cioè che s’impara, non una dote tramandata per via genetica!
Certo abbiamo dei cani geneticamente predisposti a riportare (i retriever, gli spaniel e alcuni fermatori continentali), ma tale predisposizione per essere applicata al lavoro, va comunque curata nel modo corretto tramite l’addestramento.
Gli stessi retriever, cani da riporto per antonomasia, per poter effettuare un riporto utile all’uomo (sia nella caccia ma anche in tutte le altre funzioni per cui vengono impiegati) devono essere sottoposti a delle lezioni di addestramento. Gli inglesi li selezionarono e addestrarono esclusivamente per questa mansione, riservando ai cani da ferma (pointer e setter) il ruolo di individuare e segnalare la selvaggina.
Oggigiorno però, per praticità, la maggioranza dei cacciatori utilizza il cane da ferma per entrambi gli scopi: ferma e riporto.
È un’esigenza dettata dalla praticità di mantenimento e trasporto di un unico cane per entrambe le mansioni, sopratutto per i cacciatori di città, ove spesso è più problematico gestire più cani.


RIPORTO: COERCIZIONE O GIOCO DI RELAZIONE?


I metodi utilizzati per insegnare il riporto al cane sono innumerevoli: alcuni basati sulla coercizione (obbligano il cane a riportare e soppratutto a lasciare) altri sulla relazione. Questi ultimi usano costruire un esercizio per gradi, rendendolo piacevole cane, magari non pretendendo che vada a prendere un oggetto per poi sottrarglielo, ma facendogli capire che ottiene qualcosa in cambio non appena lascia l’oggetto che ha “catturato”.

Setter inglese impegnato in esercizio di riporto


C’è da dire che obbligare il cane a fare qualcosa che non ama particolarmente, magari mossi anche dalla fretta di vedere il proprio ausiliare riempire il carniere a “suon di riporti”, porta ad un lavoro non ben fatto, poco bello anche esteticamente oltre che poco sicuro e funzionale (se ne ha la possibilità infatti si sottrae dal farlo): la fretta e le maniere forti, molto spesso sono controproducenti: ricordiamoci che il cane, soppratutto quello da ferma che a caccia deve quasi condurre l’azione, non deve esser sottomesso al suo conduttore e non deve temerlo, ma deve cooperare con lui allo svolgimento di un lavoro ben fatto. Non manchiamo mai di rispettare il nostro ausiliare, le sue peculiarità di razza e sopratutto di individuo.
A  me, personalmente, piace far ragionare il cane su un esercizio, aspettando un pò i suoi tempi (non tutti i cani sono uguali!) e facendogli scoprire quanto può essere vantaggioso per lui; per far questo occorre che il cane abbia fiducia nel proprio conduttore: non ho mai visto infatti riportare correttamente (con tutte le fasi sopra citate) un cane che non si fidi del compagno umano, semplicemente non lo ritiene all’altezza! Io stesso, prima di insegnare un riporto, cerco di instaurare un rapporto di fiducia col cane, è la base per ogni addestramento (possono forse gli allievi imparare se non credono nel maestro?).


Un cane che apprende il riporto in questo modo lo esegue con gioia e in modo corretto, perchè non vedrà tradita la fiducia che ripone nel conduttore, sicuro che questo saprà ricompensare se non altro con una lode o una carezza la rinuncia che il cane fa in suo favore.
Non tutti i cani amano riportare. Qualcuno magari non riporterà mai.
Alcuni cani detestano l’idea di andare a prendere un qualcosa e di riportarlo per poi cederlo; altri lo fanno per pura possessività e vanno a prendere il selvatico ma non lo vogliono cedere (a questo problema, talvolta, si può ovviare con un addestramento preventivo basato sullo “scambio” e sul rafforzamento del rapporto di fiducia cane-uomo); altri ancora lo fanno per puro disinteresse (bisogna trovare nell’addestramento un qualcosa che interessi veramente al cane, insegnandogli a riportarla e passando poi a fargli riportare gradualmente ciò che vogliamo); poi ci sono quei soggetti sensibili, traumatizzati da un addestramento al riporto particolarmente duro (in questo caso non sempre si può fare qualcosa, dipende dall’entità del trauma e dal temperamento del soggetto); ancora, troviamo quei cani che già da subito o dopo tempo sviluppano “il dente duro”, l’abitudine di stringere o masticare il selvatico; estirpare tale abitudine non sempre è semplice e privo di rischi: sono stati utilizzati i metodi più svariati (dagli spilli sul selvatico da abboccare, al costringere il cane a tenere in bocca la mano del padrone, a impregnare il selvatico di una sostanza sgradita al cane, etc) per risolvere tale problema, ma  il rischio di tutti questi metodi è che il cane sviluppi una vera e propria avversione per il riporto. Personalmente, per quanto ci sia una predisposizione per certe razze, o linee di sangue, al dente duro, penso che impostare il riporto come un gioco di relazione, basato sulla fiducia e sullo scambio (il cane deve ricevere qualcosa in cambio da questo riporto, non dobbiamo guadagnarci solo noi!!), possa già coantribuire a ovviare anche a questo problema; il mettersi in competizione col cane per l’oggetto da riportare, esigendo il riporto a tutti i costi dall’inizio senza costruire un minimo di relazione e fiducia, crea nel cane i presupposti giusti per lo sviluppo della possessività verso gli oggetti da riportare, causando la stretta della presa e la masticazione del selvatico per paura che gli venga portato via.
L’addestramento al riporto sembra un esercizio banale (nonostante non lo sia affatto!!!), ma se non si è in grado di svolgerlo in tutta sicurezza, senza rischiare di compromettere l’ausiliare, è meglio ricorrere preventivamente all’aiuto di uno specialista del settore.

QUANDO AL RIPORTO SI AGGIUNGE IL RECUPERO


Il territorio della Sardegna è caratterizzato da un’ampia gamma d’ambienti, ma sono poche le zone pianeggianti senza ostacoli o ripari ove vi sia selvaggina e si possa praticare la caccia; infatti l’attività venatoria si svolge per lo più nelle zone dell’entroterra, ricche di boschi, ruscelli, ampie vallate cespugliose, roveti e burroni. In questo ambiente “difficile”, valida palestra per  la selvaggina, per il cacciatore e per il suo cane, capita spesso, che il selvatico ferito o colpito a morte vada a rifuggiarsi in qualche luogo inaccessibile all’uomo, o una volta caduto  (se solo ferito) cominci a pedinare per poi andare a rifugiarsi lontano dal luogo della caduta, andando persa la possibilità di riempire il carniere.

Bebo Paulis e il suo epagneul breton dopo un recupero di una beccaccia


“I cacciatori esperti sanno per pratica che un selvatico caduto colpito dal piombo non è ancora assicurato nel carniere. […] Quante volte il cacciatore deve perdere la lepre ferita che è andata a morire, non lontano, dove il cane non ha saputo raggiungerla! Il cane del cacciatore, pure essendo stato educato con cura ad eseguire il riporto con premurosa correttezza, può mancare di quello specifico istinto ereditario che lo guiderebbe al recupero con sicurezza. […] Il cane dotato dello speciale dono di natura distingue senza fallo l’emanazione dell’animale ferito da quella dell’animale incolume e s’impegna con ogni suo potere per ricuperare il primo ma si astiene assolutamente dall’inseguire il secondo” .
Così Felice Delfino  parla del recupero, precisando la grande utilità di questa dote nel Cane, e spiegando il comportamento che questo deve attuare durante le fasi di questa manovra:l’ausiliare, infatti, deve essere un buon recuperatore, e sottolineo “deve essere”, perchè se è vero che il riporto è un esercizio acquisibile con l’addestramento, il recupero  è una dote tramandabile genticamente, e non si può insegnare al Cane. Certo, un buon addestramento preventivo alla ricerca dell’oggetto da riportare (personalmente alleno sempre i miei Cani in questo modo) può affinare  le doti di recupero del nostro ausiliare, ma non può far nascere in lui le stesse doti, se non le possiede.
Può quindi capitare che un Cane sia un ottimo riportatore ma non recuperatore (riporta a vista ma non riesce a trovare il selvatico colpito o non riesce ad arrivare dove questi si è nascosto) o un perfetto recuperatore ma scarso riportatore per mancanza d’esercizio o scorretto addestramento (in questo caso l’ausiliare trova il selvatico utilizzando il fiuto e lo segnala al cacciatore oppure rimane sul posto aspettando il suo arrivo ma non lo abbocca e non lo riporta).
Bisogna ricordare che il recupero non si basa sulla sola osservazione del presunto punto di caduta del selvatico ma si affida al fiuto del cane che lo guida all’origine della sua emanazione.
Ripercorrendo il discorso di Delfino, il buon cane da ferma, durante le fasi di recupero, deve saper discernere l’emanazione di un selvatico ferito, da quella del selvatico incolume, adottando diversi comportamenti: se il selvatico è stato ferito, che sia morto o stia tentando ancora di sfuggire, l’ausiliare deve riuscire a scovarlo, abboccarlo e, a questo punto, riportarlo al conduttore; se l’animale è stato mancato e si è semplicemente nascosto, il nostro buon recuperatore deve sì individuarne la posizione ma non deve avvicinarglisi, ma limitarsi a segnalarla nuovamente con la ferma.

a cura di Bernardino Deiana

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