Il cane (in natura il lupo) è, come l’uomo, un animale sociale e per crescere, lavorare e vivere in maniera corretta deve poter dare sfogo a questa sua socialità.
La vita in branco o in famiglia è costituita dalla condivisione dei vari momenti della giornata, che vanno dal procurarsi il cibo (per l’uomo mediante il lavoro, per il cane mediante la caccia o il fare un qualcosa per noi “per guadagnarsi la ciotola”), allo svago, dal divertimento al riposo: per l’individuo l’intero gruppo diventa una guida, un mentore che gli insegna ad affrontare le varie vicissitudini della vita, una vera fonte di sicurezza.
Dobbiamo ricordarci che il nostro cane continua ad esistere anche dopo che, al tramonto di una domenica di caccia, riponiamo il fucile nell’armadietto.
L’usanza di tenere il cane da lavoro in un box, alla catena o comunque lontano dalle attività del nucleo familiare (o dal proprietario), in condizioni quindi di isolamento sociale, è seriamente deleteria riguardo il mantenimento del rapporto d’intesa tra conduttore e ausiliare (fondamentale per avvalersi dell’aiuto di un cane da ferma durante la stagione venatoria) e va a minare l’efficacia del lavoro che i due andranno a fare durante la stagione venatoria.
Basti pensare che, nelle più moderne tecniche di educazione e addestramento, l’unica (e maggiormente efficace per la psiche del cane) punizione utilizzata è l’isolamento sociale, evitando di dare attenzioni al cane o addirittura lasciandolo da solo durante il compimento di una sua azione non gradita.
Chiaramente questo non è un buon motivo per far diventare un cane da lavoro “un annoiato peluche da salotto”, umanizzato e straviziato, inservibile per qualsiasi mansione, ma deve sicuramente spingerci a ragionare sul fatto che avere un cane (sia per lavoro o compagnia) significa farsi carico di un essere vivente che richiede (oltre le cure varie e i pasti) parte del nostro tempo, della nostra compagnia e svolgere qualche compito insieme a noi.
Esaminiamo ora i principali motivi della questione.
Tornando al fatto che il Canis Familiaris, sia un animale da branco, il restarne lontano provoca in lui ansie e frustrazioni, che senz’altro non giovano alla sua salute e non gli permettono di intraprendere in piena serenità un lavoro che richiede calma e nervi saldi, precisione, allenamento e che solo un animale allevato (oltre che preparato) nelle condizioni più ottimali può svolgere.
Parlando di fiducia e intesa: riuscireste a intendervi alla perfezione, al minimo cenno senza bisogno di parole, agendo all’unisono e fidandovi ciecamente con un collega di lavoro con cui non passate che 2 giorni alla settimana per qualche mese, senza quindi aver nessun tipo di rapporto sociale? Perché, nelle medesime condizioni, dovrebbe riuscirci il cane col suo conduttore? Come possiamo pretendere da un animale, per quanto addestrato e preparato, che lavori in sintonia con qualcuno che lo porta solo a caccia qualche giorno, ma di cui non conosce i movimenti, il modo di agire, le sue esigenze in quanto individuo e cacciatore? Come può riuscire a mantenere il contatto visivo anche a distanza considerevole (evitando quindi di finire fuori mano), e resistere al desiderio di sfogare quelle energie (magari represse da un esistenza in box) e quegli istinti che gli impediscono di seguire nel modo corretto un’ azione di caccia in piena collaborazione con noi?
La risposta a tutte queste domande è questa: alcuni cani si adattano a tutto, glielo impone il loro essere cani, e riescono a fare tutte queste cose, ma a quale costo? Per non parlare del “dente duro” che spesso si manifesta in certi cani durante il riporto, per mancanza di fiducia nel proprietario che, agli occhi dell’ausiliare vuole impossessarsi della selvaggina con la forza.
Troppe volte pretendiamo precisione e velocità di risposta agli ordini da parte dei nostri animali, che ci seguano, che non spazino troppo uscendo fuori controllo, o che ci aiutino nel tendere l’imboscata alla selvaggina senza dover far uscire dalla nostra bocca una sola parola! Cose queste che si ottengono migliorando il rapporto con lui e passandoci del tempo.
Quanti risultati sorprendenti si otterrebbero seguendoli, educandoli e addestrandoli correttamente e passando più tempo con loro? Con questo non intendo dire che chi tiene il cane in giardino, box o altro non debba avvalersi di un ausiliare: il nocciolo della questione non sta sul “dove tenere il cane”, ma sul “dove siamo noi quando il cane vive in tale luogo”.
Se, infatti, abbiamo il cane in cortile, in campagna o in box dovremmo passare del tempo costruttivo con lui, come faremo con un vecchio amico e collaboratore con cui dividere i vari momenti della giornata, costruendo un rapporto che ci permetterà di tirare fuori il meglio dalla collaborazione col nostro ausiliare anche durante le giornate di caccia.
di Bernardino Deiana