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La prima ferma

Josè Ortega y Gasset, sosteneva che la vita che ci è data ha i minuti contati e, inoltre, ci è data vuota. Che lo si voglia o no, tocca a noi riempirla; vale a dire, dobbiamo occuparla in un modo o nell’altro. Per questo la sostanza di ogni vita risiede nelle sue occupazioni. All’animale non solo è stata data la vita, ma anche il repertorio invariabile della sua condotta. Senza un suo intervento, gli istinti gli hanno gia risolto quello che deve fare ed evitare. Succede così che alcune persone riempiono la propria vita con occupazioni che portano lontano dalla confusione e dal caos della vita moderna, per stare in armonia con la natura e poter assaporare minuto per minuto, i ritmi che essa stabilisce. Per molti lavoratori, dotati dei medesimi desideri ma impossibilitati, per svariati motivi a vivere in queste condizioni, non rimane altra soluzione che concedersi questi rari momenti di wild life praticando attività sportive come il trekking, l’equitazione, fino ad arrivare alla più arcaica delle passioni che da sempre accompagnano l’uomo: la caccia. Questa infatti non solo consente di osservare la natura, ma permette di viverla in maniera autentica e profonda. Si crea così un confronto con l’animale selvatico, fatto di inseguimenti e di fughe. Di vita e di morte per l’uno e di vittorie e sconfitte per l’altro. L’animale, come sostiene il filosofo spagnolo, nasce già dotato di una serie di nozioni che gli garantiscono la sopravvivenza, l’uomo cacciatore deve invece affinare quel surrogato di istinto venatorio di cui è dotato dalla nascita. Per fare ciò, sono necessarie oltre alla conoscenza delle nozioni base che non ci sono date dalla natura, un archivio di informazioni che solo l’esperienza sul campo può dare. Ma non basta, per riuscire in un confronto con un animale selvatico ci serviamo di un ausiliare animale che sopperisca alle nostre mancanze.

Il cane da ferma, all’interno di questo ragionamento, si inserisce a metà strada fra uomo e animale; è dotato di istinti predatori ma non gli garantiscono la sopravvivenza: la ferma del cane non è altro che quel magico momento che tutti i predatori si concedono prima dell’attacco fatale alla preda ma che in questi cani, è trattenuto a tempo indeterminato per permettere all’uomo-cacciatore di concludere l’azione. Gli inglesi infatti usano un termine per indicare questi cani: il gundog, ossia il cane abile al lavoro col fucile.

Mi sono dilungato un po’ più del dovuto per introdurre un breve racconto che superficialmente può apparire banale e scontato ma che vissuto in prima persona rappresenta un momento importante e tanto atteso nella vita di un cacciatore cinofilo.

Mi trovavo sul Gennargentu arzanese, per regalare al mio nuovo cucciolo di pointer inglese, la prima uscita in montagna dopo un breve apprendistato fatto di esercizi in cortile. Il terra, il riporto, la condotta al guinzaglio erano già entrati nelle testa del cane, anche se solo come un gioco privo di qualsiasi utilità. Il giovane apprendista doveva conoscere l’ambiente che un domani sarebbe diventato il suo terreno di lavoro, doveva capire come muoversi fra gli ostacoli imposti dalla natura e scoprire astuzie e difese dei selvatici. Le vaste vallate coperte di bassa vegetazione tipiche di questi luoghi, permettono di osservare al meglio il lavoro del cane che a sua volta si forma in un terreno difficile e impegnativo. Il degrado ambientale dovuto ad un allevamento zootecnico troppo pressante, riduce le possibilità di riproduzione delle specie selvatiche, abbassando notevolmente la facilità di incontro, nel mio caso di alectoris barbara. Procedevo quindi rassegnato a godere solo ed esclusivamente dell’eleganza espressa dai movimenti del giovane puledro, quando a un tratto lo vedo immobile, imbalsamato in una posa drammatica e allo stesso tempo maestosa. La prima ferma! Mi avvicino cauto, facendogli capire che non c’è nessuna fretta, gli sto accanto accarezzandogli lentamente la groppa, lui si gira verso di me lento e solenne. Capisce che l’odore che sente proviene da una creatura vivente non molto lontana da noi, capisce che è sua ma sa che è anche mia. Fa quasi tenerezza pensare che il suo lavoro si conclude nel momento più bello per concedermi il piacere e l’onore di catturare il selvatico caduto nell’agguato. Ma la caccia è chiusa e il fucile non è fra le mie mani, la pernice non ci sta più di restare a nostra disposizione e decide di cambiare aria. Il rumoroso battere d’ali risveglia il cane dallo stato di paralisi in cui è caduto e lo fa tornare alla realtà nel più brusco dei modi. La tentazione di inseguire è forte ma lo blocco a terra anticipandogli la dura verità che acchiappare una pernice al volo non è cosa da cani.

Marco Loi

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