La caccia in Sardegna – Ars Venandi
Forse non tutti sanno che..
20 Ottobre 2011
Battuta all’inglese riservata al calibro 410
26 Ottobre 2011
Mostra tutto

La caccia in Sardegna

La caccia in Sardegna è in una situazione relativamente accettabile e migliorabile sempre che gli interessati specificamente tengano conto degli anni che sono passati, dell’ambiente che è radicalmente cambiato in peggio, anche dal punto di vista faunistico, e del fatto fondamentale che la fauna sia stata gestita soltanto attraverso divieti, alcuni chiesti da noi.

A noi non interessa confrontare ciò con quanto si conosce delle situazioni di altre regioni, ma abbiamo sempre sostenuto che gestire la materia che ci occupa attraverso adeguate possibili misure, che richiedono non soltanto l’intervento delle autorità politiche, ma uno sviluppo della cultura specifica quanto al recupero dell’habitat nella parte in cui ciò è praticabile, sia essenziale.

Vogliamo dire o ripetere che soltanto uno studio dell’habitat ed una gestione attenta del territorio in cui esiste la fauna ed in cui è possibile prelevarla in quantità adeguate che consentano la conservazione della specie, intervenendo sull’alimentazione della stessa fauna e con un’azione riduttiva degli animali che, comunque, allo stato l’uomo non intende ancora qualificare come avversari.

Ben presto l’uomo dovrà combatterli nelle città e non solo nelle campagne: non è un’ ipotesi, è una certezza matematica, con una progressione inarrestabile, cui certo non può porre un freno l’azione, sia pure incentivata, come nel lontano passato, dei cacciatori, giacché i numeri di certe specie, cornacchie, cinghiali ed altre, stanno raggiungendo livelli altissimi, arrecando danni non soltanto alla fauna, ma alle colture.

Soltanto il cinghiale, per motivi venatori, è un po’ frenato, ma è chiaro che, se non esistessero i cacciatori, l’uomo dovrebbe far intervenire l’esercito come avvenne in Svizzera molti anni fa quando un cantone decise la chiusura della caccia.

Abbiamo tentato, attraverso la legge 32 del 1978, cui abbiamo direttamente collaborato, di introdurre o perfezionare istituti che responsabilizzassero gli utenti.

Le zone di ripopolamento e cattura non sono mai state gestite secondo la funzione letterale dell’istituto, cioè realizzando l’accrescimento della fauna stanziale e la sua diffusione non soltanto naturale come nelle oasi, che hanno dato in certi casi ottimi risultati, ma trasferendo il plus ottenuto attraverso l’azione umana.

Da notare che qualsiasi zona protetta, se non verificata nell’habitat e nella consistenza della popolazione faunistica (parliamo in questo caso di pernici in particolare) tende a spopolarsi dopo un certo numero di anni, così come è avvenuto, per fare un esempio locale, di Surigheddu.

Non dimenticando che, nel momento della riapertura di dette zone, alla fine di un ciclo riproduttivo calcolabile e verificabile,è inevitabile, anche attuando un sistema di rotazione sempre auspicabile per tutte le zone protette, che avvenga una concentrazione di cacciatori , i quali però, per commettere le stragi strumentalmente descritte ma non provate, hanno bisogno della materia prima, in tali zone da tempo inesistente.

Le zone autogestite per definizione dovevano offrite l’opportunità di una gestione diretta ai cacciatori.
Tranne alcuni casi nella nostra regione, gli interventi sono stati limitati da parecchi anni alla chiusura della caccia per alcune giornate, rimedio relativamente influente ma accettabile in zone dall’estensione limitata e dalla consistenza faunistica ben conosciuta e quindi facilmente rintracciabile. Normalmente siamo lontani da certi esempi di gestione che vengono realizzati altrove attraverso lo studio dell’ambiente, delle colture, del calcolo degli animali che possono viverci, integrando la produzione alimentare e calcolando anche, il prelievo degli individui delle specie cacciabili.

Se si riuscirà a realizzare ciò nell’ambiente politico-amministrativo tecnico sardo, se cioè la fauna verrà studiata e considerata una risorsa, sotto una serie di punti di vista e non soltanto di quello venatorio, allora la Sardegna, forse non dovrà più sentire voci comunque non veritiere sulla consistenza del patrimonio faunistico sardo.

Con una costante presenza di cinghiali e lepri, la pernice soffre stagionalmente e localmente di alti e bassi e, nell’attualità, questa viene comunque considerata una tra le annate migliori degli ultimi tempi.
Parlare strumentalmente di estinzione di quest’ultima specie equivale a non tener conto del significato scientifico dell’espressione non applicabile alla generalità del territorio sardo. Possiamo anche ricordare che abbiamo conosciuto zone in cui la caccia è stata vietata che non hanno ottenuto alcun miglioramento.

Noi consideriamo nostro dovere essere oggettivi ed informati. Certo dovremmo essere stanchi di ripetere ad esempio, che il rigidissimo calendario venatorio sardo, cui abbiamo generalmente contribuito in modo determinante, ha certamente salvato la situazione della conservazione della fauna stanziale, ma nulla può contro una legge che stabilisce che la tortora non si può cacciare prima di settembre, cioè in epoca tardiva, come tutti sanno.

Voglio chiudere ricordando che, quando è stato necessario, a nostro modesto avviso, siamo sempre intervenuti per una riduzione del prelievo venatorio, sempre ottenendo su ciò l’adesione anche materiale dei cacciatori, così come per diversi anni abbiamo ottenuto, senza arrecare danni rilevabili, la prosecuzione dell’attività venatoria a febbraio, fatto che, per certe specie, dovrebbe sempre rientrare nelle aspirazioni giustissime della Speciale Regione Autonoma della Sardegna.

Franco Sciarra

.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *