Il cervo della mia vita! – Ars Venandi
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Il cervo della mia vita!

“Adesso posso anche morire”! E’ una frase molto carica d’enfasi, veramente d’effetto, che avrei sentito volentieri pronunciata da un vecchio capo indiano al crepuscolo della sua saggia vita o da un santone Hymalayano. Invece è stato un mio collega di lavoro a pronunciarla, dopo che, schivando, zigzagando e dribblando l’imponente scorta vaticana, era riuscito a baciare le mani (ovviamente stando in ginocchio!) del rimpianto Papa Giovanni Paolo II in visita presso il sito industriale dove lavoro. Quella frase m’è tornata in mente in Ungheria, in una calda mattina di metà settembre, mentre aspettavo che sorgesse il sole seduto a fianco di un bellissimo cervo appena abbattuto al bramito. In quel momento ero in preda a delle emozioni indescrivibili, che può capire soltanto chi ha avuto la mia stessa fortuna di provare. Ho catturato quel grande maschio alle prime luci dell’alba, mentre con dei poderosi richiami sfidava il mondo intero dal crinale opposto della valle dov’eravamo io e il mio accompagnatore ungherese. L’ho abbattuto con quello che forse è (e sicuramente rimarrà) uno dei tiri più belli che abbia mai fatto in vita mia. Questa indimenticabile avventura, organizzata come sempre dal mio grandissimo amico magiaro Laszlo Keresztes, l’ho vissuta in pieno “brunft”, in una zona molto selvaggia che si trova a sud est di Budapest. Nonostante non abbia catturato moltissimi cervi, più o meno una ventina, una certa esperienza sulla loro caccia me la sono fatta. Per questo motivo, prima ancora di raccontarvi cosa accadde durante quella splendida avventura, voglio confidarvi che dopo aver provato diverse combinazioni arma – calibro – ottica, oggi non potrei più fare a meno della mia splendida carabina Steyr Mannlicher modello S calibro 8 x 68 Shuler equipaggiata con ottica Kahles CBX 3 – 12 x 56 con reticolo illuminato digitalmente. Ormai uso soltanto munizioni ricaricate con bossolo R.W.S. innesco CCI 250 Magnum, palla Nosler Partition da 200 grani, 73,5 grani di polvere Rottweil R 904 (920 m/s e circa 550 chilogrammetri di energia). Quella descritta è una combinazione tutta europea che, come vedremo, s’è dimostrata perfetta e micidiale per cacciare il Re delle foreste europee anche a distanza elevata e in condizioni di luce proibitive. Trovai Laszlo ad aspettarmi al mio arrivo all’aeroporto puntuale come sempre, e la prima cosa che disse dopo esserci salutati fu che secondo lui non s’era mai visto un anno così arido e poco piovoso. Una siccità tale che si stava pian piano trasformando in una vera e propria calamità naturale per una nazione come l’Ungheria, che basa molta della sua economia sull’agricoltura e sulle attività rurali-venatorie. Percorremmo le due-tre ore di macchina necessarie per raggiungere la zona di caccia felici per la reciproca compagnia, fantasticando su quanti a quali animali avremmo potuto incontrare in futuro. Laszlo mi aveva programmato quattro giorni di caccia in una riserva molto tranquilla e un po’ fuori mano, ma sapientemente gestita da un piccolo gruppo di cacciatori locali. La zona non poteva certo vantare la densità di selvatici caratteristica delle riserve statali ma, essendoci già stato in precedenza, sapevo che era comunque ottima. Avrei avuto la possibilità di abbattere qualsiasi selvatico avessi voluto tra cervi, caprioli cinghiali e daini, ma il mio desiderio era incontrare subito un buon cervo e poi magari dedicarmi in seguito anche ad altre forme di caccia. Come tradizione mitteleuropea vuole, avremmo fatto un piccolo aspetto mattutino seguito da una sana pirsh e poi l’aspetto serale dall’altana. Così, il giorno seguente, un’ora e mezza abbondante prima del sorgere del sole, io e Franz la mia guida ungherese, salimmo su un’altana posizionata sul ciglio di un “restone” (per dirla alla toscana), una specie di spalla scoscesa ricoperta da una fittissima macchia di rovi e di prugnoli selvatici lunga sette – ottocento metri. Da dov’eravamo avevamo un’ottima visuale su un’ampia valletta arata sottostante e sull’altro versante del “canyon” che confinava con un campo di mais enorme, di “cucorizza”, come chiamano gli ungheresi quelle immense distese di pannocchie. Purtroppo la nostra altana era tutt’altro che comoda, perché oltre ad essere abbastanza traballante, per non dire pericolosa, non offriva assolutamente l’appoggio necessario per tentare un tiro di precisione a lunga distanza. Comunque il territorio era meraviglioso, oserei dire ideale per cacciare i cervi, con quelle belle distese coltivate a perdita d’occhio, tramezzate da boschi estesi e fittissimi come giungle, da stoppie e da campi di girasoli tagliati. La strategia di caccia adottata da Franz per quel giorno e che sarebbe stata la stessa per tutta la durata della mia permanenza in Ungheria, prevedeva di raggiungere a notte fonda la zona di caccia, che di solito si trovava sul confine tra gli immensi granturcheti e i boschi impenetrabili, osservare l’andirivieni dei selvatici, ascoltare i bramiti dei cervi e poi decidere il da farsi. Quando i maschi bramivano l’adrenalina ti saliva ai massimi livelli e ti penetrava nelle ossa facendoti venire i brividi. E’ impressionante quanto possa essere possente e a quanta distanza si propaghi nella bruma mattutina, qual suono grutturale e inconfondibile. A volte sentivamo persino lo sfregare dei palchi contro gli alberi e il camminare dei cervi nei campi di mais. Ero intenzionato ad abbattere un capo importante o, in alternativa, un paio di cervi più modesti, ma nella caccia a palla non si può mai sapere cosa ti riserverà il destino. Purtroppo l’ultima parola l’ha sempre il .. portafoglio! Cacciando i cervi pannonici devi stare attentissimo a quel che spari se non vuoi ritrovarti a pagarne uno quanto una lussuosa berlina di grossa cilindrata. Con Franz ci accordammo che avrei tirato ai cervi con il trofeo fino a un peso massimo di sette chilogrammi e ai daini con il palco da due – due e mezzo kg. Appena ci fu luce a sufficienza portammo i binocoli agli occhi e cominciammo a impegnarci sul serio. Nel campo di Cucorizza vedemmo subito delle sagome scure che Franz identificò come Mame di cervo con Baby, ma non bisognava essere dei geni per capire che in quel periodo dove c’erano delle femmine dovevano esserci per forza anche dei maschi. Infatti Franz, forse preso da un eccesso entusiasmo, in un italiano stentato quasi urlò: “Grande maschio nella valle! Lo vedi? Sta andando dalle femmine in calore!”. Franz è un buon guardiacaccia – accompagnatore, mentre io, scusate la falsa modestia, mi reputo un cacciatore esperto, uno con dei tempi di reazione molto brevi. Così, mentre lui cercava di valutare l’entità del trofeo per non andare incontro a brutte sorprese, io cominciai a prepararmi per un ipotetico tiro. Il grosso selvatico si trovava a circa 350 metri di distanza, telemetrati con precisione dal mio Leica Geovid 8 x 42 HD, quindi sarebbe stato impensabile, se non addirittura impossibile, tentare di tirargli dalla nostra traballante altana. Senza neanche pensarci un attimo, sollecitai la mia guida a seguirmi per cercare d’intercettare il selvatico prima che raggiungesse il mais. Corremmo in silenzio per un centinaio di metri e nello stesso istante che noi uscimmo nel campo, vedemmo il cervo che stava per entrare nel bosco. Fu allora che Franz dimostrò tutta la sua professionalità emettendo un fortissimo verso, stridulo e prolungato. Il cervo uditolo s’arresto di colpo e un secondo dopo una palla calibro 8,2 mm da 200 grani ad espansione controllata lo raggiunse perfettamente sulla spalla. Il grosso animale accusò vistosamente il colpo, ma invece di cadere riuscì a trascinarsi nel folto. Dal rumore che provocò avanzando, capimmo che era stato preso bene, ma dovemmo inseguirlo per oltre un centinaio di metri prima di trovarlo esanime al suolo. Forse è stata la prima volta che ho visto un cervo colpito in quel modo percorrere tanta strada. Nonostante la distanza non fosse troppo eccessiva, circa 240 metri, e la palla Nosler da 200 grani lo avesse centrato nel punto giusto, il possente animale aveva avuto ancora la forza di allontanarsi parecchio dall’anschuss. Quella fu un’ulteriore conferma, semmai ce ne fosse stato bisogno, che effettivamente i grandi maschi carichi di ormoni e di adrenalina diventano dei formidabili incassatori durante il brunft. Non era ancora sorto il sole del mio primo giorno di caccia, che avevo praticamente già raggiunto l’obiettivo prefissato. “Purtroppo” quel cervo era tutt’altro che modesto, quindi avrei dovuto ritenermi più che soddisfatto del risultato ottenuto….. ma quando mai? Esaminando la spoglia m’impressionò la mole dell’animale, che Franz stimò almeno sui duecentocinquanta chili di peso corporeo e sei – sette chilogrammi di trofeo. Il suo palco era perfetto, bellissimo sia come forma sia come colore. Verificando la ferita constatai che lo avevo colpito bene, anche se forse un po’ troppo alto, proprio al centro della spalla. Non riuscii ancora a spiegarmi come il cervo avesse potuto comportarsi così dopo aver ricevuto un colpo simile, misteri della balistica applicata! Porgemmo i dovuti onori al nobile animale e poi procedemmo con un difficoltoso recupero aiutati da un piccolo verricello elettrico portatile. Visto che la prima azione di caccia era stata decisamente meravigliosa, mi chiesi cosa ci avrebbe riservato il futuro. Alle diciassette salimmo su un’altra scomodissima altana, ma in compenso non c’erano le zanzare a tenerci compagnia. Solo verso le diciotto e trenta avvistammo i primi selvatici: cerve con i piccoli, caprioli in tutte le classi d’età e femmine di daini. In un primo momento nessun animale ci suscitò un interesse particolare, ma poi, ricontrollando bene, una grossa femmina di cervo sembrava zoppicare leggermente. Chiesi a Franz il permesso di abbatterla, ma mentre decideva se concedermelo o no, una notte scura come la pece calò inesorabilmente. Quando finalmente Franz decise che potevo tentare il tiro, dopo aver fatto addirittura un paio di telefonate al Capo del distretto, era ormai buio pesto da almeno mezz’ora. Più per curiosità che per altro, presi a perlustrare il campo adiacente direttamente attraverso le splendide lenti del mio Kahles 3 – 12 x 56 CBX e cosa vidi? Che con il reticolo illuminato al minimo e con gli ingrandimenti posti a 6 – 7 potevo ancora mirare con precisione una grossa sagoma scura a circa centotrentacinque metri di distanza! Incredibile. Cosa che non mi era mai capitato di fare con diverse altre ottiche di marche super blasonate. La vampa e il rinculo del poderoso 8 mm ideato da Shuler m’impedirono di conoscere subito l’esito dello sparo, ma non ebbi alcun dubbio di aver eseguito un abbattimento netto e corretto. Era notte fonda quando mi coricai pensando a cosa avevo già in carniere, un gran bel maschio da trofeo e una grossa femmina abbattuta per selezione, niente male come inizio. Nei giorni a seguire fummo meno fortunati. Un mattino, insolitamente nebbioso, abbattei un giovane fusone di cervo sottopeso, poi una magnifica volpe, ma per il momento i grandi maschi sembrava che avessero smesso di bramire. Il penultimo giorno di caccia, alle cinque e mezza del mattino, io e il granitico Franz ci appostammo su un’altana posta al centro di una lunghissima lingua di bosco confinante con un campo coltivato ad erba medica, neanche fossimo in Maremma o sull’Appennino tosco-emiliano. L’aria era tiepida e lo zirlo di decine e decine di tordi mi faceva venire la nostalgia di casa. Ad un tratto, in tre punti distinti e lontani tra loro chilometri, ricominciarono a bramire i cervi. Franz automaticamente cadde in trance. Lo spiai che ascoltava concentratissimo quel concerto per alcuni minuti poi, eccitato, scese dall’altana e mi fece segno di seguirlo. Raggiungemmo il fuoristrada, percorremmo che so’, due – tre chilometri, riparcheggiammo in silenzio e c’inoltrammo lungo un sentiero poco transitato, a stento distinguibile nell’intricato bosco ungherese. Giunti in prossimità di un’immancabile “restone” Franz s’immobilizzò e si mise in ascolto. Pochi attimi dopo un possente bramito ci giunse nitidissimo dalla costa che avevamo a specchio davanti. Che spettacolo! Contemporaneamente mettemmo mano ai nostri binocoli e dopo pochi minuti, che a me sembrarono un’eternità, alla mia sinistra finalmente avvistammo un grosso maschio di cervo che camminava lentamente parallelo al ciglio della costa. Franz lo valutò subito sui quattro chili e mezzo – cinque di trofeo, quindi proprio quello che cercavamo. Lo interrogai col solo sguardo e lui fece spallucce, come a volermi dire: “Se te la senti..”. L’animale era stupendo, massiccio, con un palco forte e regolare, decisamente il cervo giusto, ma nelle lenti del mio Leica 8 x 42 lo vedevo veramente piccolo e molto scuro. Lanciai l’impulso laser del Geovid e nel display lessi che si trovava a circa 264 metri di distanza. A quel punto distesi il bipiede, mi sdraiai in terra, poi presi a traguardare direttamente il cervo attraverso l’ottica della carabina e infine tolsi la sicura. Feci due rapidi conti per regolarmi con l’alzo (l’arma era tarata a centocinquanta metri), armai il primo grilletto, regolai la respirazione e mentre allineavo il reticolo del CBX sulla possente spalla del grosso animale, questi s’immobilizzò. L’Harris mi garantiva un appoggio perfetto, così strinsi bene il calcio della Steyr Mannlicher e sparai. Anche con quelle condizioni di luce precarie vidi ugualmente una nuvoletta di polvere alzarsi dalla spalla del cervo circa una decina di centimetri più in basso di dove avevo mirato, come a confermare che i miei calcoli erano stati esatti. Il poderoso animale stentò pochi passi e poi scivolò in discesa come un gigantesco camoscio scomparendo in quell’inferno verde. Ci sono dei rari momenti che sento l’intimo bisogno di complimentarmi con me stesso: “bravo Marco”! Bhe, quello è stato uno di essi. Perché non solo avevo fatto uno splendido tiro, ma avevo eseguito anche un abbattimento pulito e corretto, cosa non sempre facile quando si spara in quelle condizioni di possibile angolo di sito, eccessiva distanza e scarsa illuminazione. Talmente presi dall’eccitazione Franz ed io facemmo un piccolo errore…. Corremmo subito a vedere il capo abbattuto invece di prendere qualche riferimento della zona dov’era caduto. Infatti, dopo aver attraversato un campo di girasoli tagliati e un boschetto di prugne selvatiche, tribolammo non poco per trovare il punto esatto dove giaceva il grande cervo, neanche fosse stato un tordo o un fagiano. Il resto è storia, una di quelle a lieto fine, il cui ricordo lo conserverò gelosamente nell’angolo remoto del mio cuore dove custodisco gli avvenimenti più significativi. Credo sia mio dovere ringraziare anche il carissimo amico Laszlo, per avermi concesso ancora una volta il permesso di sognare ad occhi aperti.

Marco Benecchi

Per info.

Làszlò Keresztes
Agenzia LESLI CLUB – PERLA 99
00-36309831166 – e-mail info@lesliclub.hu – info@perle99.hu
fax 00-3662235158 – www.lesliclub.hu

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