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Caccia al cinghiale all’aspetto

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selecontrolloreChi mi conosce da tanto tempo sa che non mi sono mai tirato indietro quando c’è d’aiutare un amico, specialmente se è un “amico” di quelli veri e non un semplice conoscente. Così, quando il carissimo Pasquale mi  confidò che gli sarebbe piaciuto abbattere un cinghiale da trofeo, non persi tempo e mi diedi subito daffare per cercare di esaudire il suo desiderio. Catturare un grande solengo non è certo facile, neanche in una riserva, perché la richiesta è tanta e, purtroppo, la disponibilità poca. Comunque: “Volere è potere!” quindi, con un po’ di pazienza e con un pizzico di fortuna non è raro che si resca a combinare qualcosa di buono. Tramite “Radio Maremma” feci circolare la voce tra gli addetti ai lavori che cercavo un bel “maremmano” da far abbattere ad un amico che voleva farselo imbalsamare ma, come prevedevo, col passare del tempo nessuno dei gestori delle più importanti riserve che conoscevo, mi richiamò per darmi la buona notizia. Tutte le volte che Pasquale mi telefonava e che io dovevo ammettere che non ero riuscito a procurargli la preda dei suoi desideri mi sentivo male. Ma non mi davo per vinto. Nelle grandi tenute private toscane, per mantenere i cinghiali all’interno dei loro confini, si usa una tecnica tanto antica quanto semplicissima: si governano tutto l’anno. E’ un sacrificio enorme sia come impegno fisico sia economicamente, ma purtroppo non esiste altro sistema per cercare (perché non è detto che sempre ci si riesca) di frenare l’istinto migratore del Re della macchia. Un pomeriggio di dicembre chiamai Giampiero Bernacchi, il gestore della meravigliosa AVF “Le Forane” di Caparbio, per chiedergli un permesso per andare a fagiani e a lui non gli parve vero di avere un amico con cui potersi sfogare: “Tu  pensi ai fagiani, quando io ho ben altri problemi. Al governo della Doganella non ci va più neanche un cinghiale. Anzi, a dir la verità, dalle tracce ho visto, ce ne va uno soltanto che scaccia tutti gli altri. Non so più cosa fare”. “E’ grosso?” Gli risposi d’impulso. “Sicuramente passa il quintale e dovrebbe avere anche un bel trofeo se riesce ad imporsi su tutti gli altri”. A sentir pronunciare quelle parole mi si accese subito la lampadina! “Che dici se proviamo ad a farlo appostare da quel mio amico di Schio?” “Perché no?” Mi rispose, “ma avvisalo che non sarà certo facile”. Cose del genere vanno “cotte e mangiate” così, dopo un rapidissimo scambio di telefonate, il mercoledì seguente il buon Pasqualino bussò alla mia porta. Siamo molto lontani geograficamente, ma ci lega una profondissima amicizia e: “tutte le volte che lo vedo, il mio cuore ride” come dice un vecchio proverbio indiano. Mentre aspettavamo che fosse pronta la cena, il discorso immancabilmente scivolò su quale carabina avesse portato per quell’occasione. Pasquale senza rispondere, prese un corto fodero imbottito della Riserva e tirò fuori una meravigliosa Steyr Mannlicher SBS Stutzen in calibro 9,3 x 62 Mauser “Bock”, accessoriata con un’ottica Swarovsky 8 x 50 PF-I con reticolo illuminato, montata su attacchi originali amovibili a pivot. Praticamente il non plus ultra per tutte le cacce d’appostamento alla grossa selvaggina europea. Pasquale sperava di utilizzare delle cartucce ricaricate (dal sottoscritto!) con palle Alaska da 286 grani spinte da una generosa dose di Norma 202. E’ risaputo che il momento migliore per tentare di sorprendere un cinghiale all’aspetto è la tarda sera, ma siccome il mattino seguente non avevamo altri impegni, decidemmo ugualmente di fare subito una prima uscita, così da renderci conto sulla conformazione della zona. Arrivammo sul posto che era notte fonda e lasciammo nel fuoristrada Jack, il mio Deutcher Jagdterrier che stavo addestrando al recupero degli animali feriti e, silenziosi come possono esserlo soltanto dei vecchi veterani della caccia alla cerca, c’inoltrammo nel bosco. Che procedemmo bene lo dimostrò il fatto che, come spuntò l’alba, avevamo già visto, e tutti a tiro, ben cinque caprioli, ma purtroppo di sagome “irsute”  neanche l’ombra. Visto che eravamo tutti appassionati di caccia al capriolo, l’aver avvistato quei “folletti grigi”, fu sufficiente ad elettrizzarci ed a metterci di buon umore. Giunti in prossimità del “governo”, fummo tentati di avvicinarci ulteriormente per controllare se il grosso solengo era ritornato a cibarsi e cercare di stimare il suo peso dalle impronte, ma per evitare d’inquinare la zona con il nostro odore rinunciammo nell’intento. Per niente demoralizzati da quell’insuccesso annunciato, Pasquale ed io, dopo esserci congedati da Giampiero, trascorremmo il resto della giornata a fare i turisti per Capalbio, ma ci accordammo di ritentare la sorte in serata. Sperai soltanto che il grande “Re” si fosse presentato a colazione ad un’ora ragionevole! Tanti anni fa nella mia amata Maremma i vecchi cacciatori facevano il “balzello” ai cinghiali che venivano a razziare i loro campi coltivati, appostati sopra ad una grossa quercia, ma oggi i tempi sono cambiati. La carabina di grosso calibro ha preso il posto della doppietta a cani esterni caricata a terzarole, e conseguentemente anche la strategia da adottare è diversa. Decidemmo di appostarci ad una certa distanza dal governo, tenendo conto di dove prevedevamo potesse arrivare l’animale e dalla direzione del vento. La caccia all’aspetto ai grandi selvatici andrebbe sempre fatta sempre da un cacciatore solitario o, al limite, accompagnato da una validissima guida. Sarebbe stato impensabile appostare in tre uno dei selvatici più furbi al mondo. Giampiero, un po’ a malincuore, acconsentì a lasciarmi l’onore di accompagnare Pasquale, lui sarebbe rimasto nel fuoristrada al calduccio con Jack, in attesa dello sparo risolutivo. Dato che non faceva troppo freddo e che non prevedevamo una lunga attesa, ci coprimmo il giusto. Se ci fossimo imbacuccati come eskimesi, specialmente l’amico di Schio avrebbe avuto difficoltà a sparare. Faccio l’accompagnatore da quasi quindici anni e l’ho sempre fatto “armato”, ma quando conosco e soprattutto so come sparano i miei compagni di caccia, preferisco viaggiare leggero. Quel tardo pomeriggio avevo con me soltanto il mio nuovo binocolo Leica Geovid 10 x 42, un paio di coltelli ben affilati (un pugnale ed uno skinner), la MagLite “media” e qualche metro di corda. Con la flebile fiammella dell’accendino sondai il vento e  decisi dove  posizionarci; ad una quarantina di metri dal punto dove, da diversi mesi, Giampiero scaricava cinque o sei secchi di granaglie quasi ogni giorno. Pasquale adagiò la stutzen sopra allo zaino a ridosso di una grande quercia, fece un paio d’imbracciature di prova, camerò una cartuccia in canna e poi la ripose già puntata verso la piccola radura che ospitava il governo. Lo guardai ed annuii soddisfatto. Da quel momento in poi avremmo persino dovuto respirare in silenzio. Con occhio critico controllai la zona circostante per vedere se ci fosse qualcosa d’insolito, ma mi sembrò che tutto era come prima del nostro arrivo. Non ci rimase altro da fare che starcene immobili e pazienti in attesa del grande solengo. D’inverno il sole tramonta con una velocità incredibile. Ci ritrovammo nella semioscurità quasi senza accorgercene. In base alla mia esperienza sapevo bene che per avere delle buone probabilità di successo avremmo dovuto sentire, prima ancora di vedere, il grosso cinghiale in avvicinamento, perché, se fosse arrivato al governo, Pasquale avrebbe avuto solo pochi attimi per sparare. All’interno del bosco, ed in particolare della macchia mediterranea, il silenzio non è mai totale. E’ sempre violato dai versi dei piccoli animali selvatici, come quelli striduli e chiassosi dei merli e delle ghiandaie, dai zirli dei tordi e dai canti dei fagiani che s’inalberavano per trascorrere la notte. In lontananza abbaiò anche un capriolo. Per quanto i cinghiali possono essere silenziosi e furtivi, un branco in movimento si fa sempre sentire, specialmente quando le scrofe hanno al seguito porcastri e “rossi” che giocano tra loro. Dei grugniti e un inconfondibile troncare nella macchia ci annunciarono che degli irsuti stavano arrivando al governo. Guardai Pasqualino che, scostando la mano, mi mostrò la carabina carica senza sicura ed il reticolo dello Swarovsky già acceso sulla prima tacca. Eravamo pronti, ma al trascorrere di ogni minuto la visibilità si riduceva in maniera esponenziale. Diedi per scontato che il branco di cinghiali si stesse avvicinando, ma non mi illudevo che tra loro ci fosse anche il vecchio solengo che stavamo aspettando. Un animale simile  si muove da solo o, salvo rarissimi casi eccezionali, soltanto in compagnia di uno “scudiero”. Comunque pensai che l’arrivo dei cinghiali avrebbe collaudato la bontà del nostro appostamento. Quando i selvatici arrivarono a pochi metri dalla radura li sentimmo immobilizzarsi. Il mio primo pensiero fu che ci avessero fiutato, ma mi sembrò alquanto improbabile. Seguì un forte soffio, sicuramente provocato dalla scofa capobranco e subito dopo dal rumore che fecero capimmo che i cinghiali avevano rigirato e stavano allontanandosi nella stessa direzione da dov’erano venuti. Che stava succedendo? Pasquale mi guardò preoccupato ma io che mi ero fatto un’idea di cosa fosse successo lo sfiorai con la mano con il duplice scopo di tranquillizzarlo e di farlo preparare. Passarono pochissimi secondi e nella radura si materializzò una grossa sagoma scura. Ecco chi era stato a spaventare il branco! Il cinghiale era grosso ed aveva le fattezze di un maschio, ma in quelle condizioni di luce non potevamo permetterci di valutarne bene né il sesso né tanto meno l’importanza del trofeo, ma non c’era tempo da perdere così decisi di rischiare. Chiusi a cerchio l’indice ed il pollice e mostrai la mano a Pasquale che annuì soddisfatto. Portai il Geovid agli occhi e aspettai lo sparo, che non si fece attendere. La vampata della Steyr Stutzen 9,3 x 62 ci abbagliò ma non quel tanto da impedirci di vedere il cinghiale crollare sul posto. Pasquale fu il primo a parlare: “E’ fatta!”. “Ricarica ed aspetta a cantar vittoria” gli risposi. Accesi la MagLite ed andai a vedere. La grossa sagoma scura era immobile, gli feci scorrere sopra il fascio di luce ed arrivato sull’enorme testone vidi due meravigliose zanne scintillare. Quando l’osservai da vicino m’impressionarono più i canini superiori (le coti) che le zanne vere e proprie. Era un trofeo meraviglioso. Dal vociare che sentii alle mie spalle capii che ci aveva raggiunti anche Giampiero e lo confermò il fatto che Jack arrivò famelico ad azzannare il grande solengo. Vederlo così piccolo aggredire (anche se era morto!) un animale così grande mi diede molta soddisfazione. In tre lo rigirammo per controllare il lavoro svolto dalla potente palla, poi quello che seguì fu tradizione pura. Waidmannsheil, pacche sulle spalle, sfottò e scattammo poche foto con i flash, perché il servizio fotografico vero e proprio lo avremmo fatto il mattino seguente. Un’animale simile andava immortalato come Cristo comanda. Pasquale era al settimo cielo così decisi di scroccargli una bella cenetta: “Forza! Carichiamo il cinghiale sul Pick Up e poi andiamo a farci una bella bisteccona da Tonino lo Scorreggione!”

                                                                Marco  Benecchi                                                    

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